Intervista a
Gogo Della Luna
Quando il caso crea degli incontri particolari..
L’intervista di oggi nasce proprio da una casualità legata al mio vagabondare per Ostia nell’intento di fotografarla sempre nei suoi aspetti diversi.
In una giornata di gennaio ho fotografato una donna che stava facendo il bagno al Pontiletto dei Pescatori…ovviamente la mia curiosità mi ha spinto a domandare se qualcuno la conoscesse e a lasciar detto di averla fotografata.
Da lì a qualche ora mi ritrovo a leggere una sua mail di ringraziamento accompagnata da una domanda: “Perché ami tanto Ostia?”. C’era poi una richiesta di aiuto da parte sua: “aiutami ad amarla come fai tu!”
Ed ecco il momento dell’incontro a casa sua, circondati da pappagalli inseparabili liberi di volare per casa, da un ratto bianco, Celestine, che dorme nelle sue mani ed un gatto nero enorme che convive con tutti…
Speciale atmosfera che ci ha permesso di chiacchierare per due ore senza accorgersi del tempo che passava…
“Il giorno che ci siamo conosciuti era una giornata particolare: c’era la regata di cui non mi ero neanche accorta, perché quando arrivo in spiaggia già sto in acqua, non guardo nulla intorno. Mi sono accorta solo mentre nuotavo che qualcuno mi stava fotografando; ho pensato subito di finire su FB, ma avendoti visto con una macchinetta fotografica mi ha rassicurata. La domanda consueta che mi fanno quando esco è com’era l’acqua, ma difficile che mi chiedano perché lo faccia.”
Perché lo fai?
Lo faccio perchè davo per scontato, come tutti, che d’inverno non si potesse fare. Quando un mio amico mi ha chiesto perché non
farlo, non ho saputo dare una risposta. Sono andata insieme a lui, la prima volta: ho resistito tre minuti ma sono uscita con una sensazione di benessere psico-fisico emotivo enorme. E’ la cosa che mi ha colpito di più negli ultimi 12 anni della mia vita, e mi ha fatto venire in mente una frase di Gandhi, sentita alle medie e che non avevo mai capito. Diceva che tutti noi dovremmo fare una volta al giorno o una cosa che ci spaventa o una cosa che va contro la nostra logica, e questo ci mantiene vivi. E’ come caricare la batteria della vita, si sente la differenza. Non è sport, non è allenamento, e lo fai perché ne hai bisogno. Da quel giorno mi sveglio col desiderio di andarci, quasi un appuntamento amoroso, senza però le complicazioni…Ci vado con qualsiasi tempo: una volta è successo qualcosa che mi ha spaventato. Era una giornata grigia ma con ogni tanto un
pò di luce: di solito nuoto parallela alla riva ma stavo talmente bene che ho iniziato a seguire un raggio di sole che partiva dalla riva e andava verso l’orizzonte. Per fortuna qualcuno, non so da dove, mi ha destato perché
stavo seguendo la luce come il pifferaio magico. Con l’acqua cosi fredda però è stato rischiosissimo, perché l’autonomia all’interno è di circa 20 minuti. Questo per dire che quando entri in mare c’è una percentuale di magia, una simbiosi in cui ti senti acqua. Tutto ciò mi cambia la prospettiva: osservi le stesse cose, ma ne vedi molte di più! L’unica mia preoccupazione è cosa farò quando questo diventerà assolutamente normale!
Torniamo ora un po’ indietro, e scopriamo il tuo rapporto con Ostia: ci sei nata?
Io sono nata a Roma e fino ad un anno sono stata a Monteverde; poi i miei genitori decisero di venire qui, prendendo un appartamento a via delle Baleniere, dove allora c’erano pochissimi palazzi. Mi ricordo che da casa guardavo le mucche. Dal 1968 fino al 1991 ho vissuto qui, poi sono partita per l’Irlanda. La vita mi ha fatto un inciampo e sono tornata nel 2005. Inciampo perché sono venuta qui per scrivere il mio libro, il primo però in italiano. Siccome non lo parlavo più così bene mi serviva tornare qui: inizialmente doveva essere per 4 mesi e ho quindi ho lasciato tutto a Dublino. Non parlerei del fatto che sono tornata, ma che sono venuta per fare una cosa, poi la vita ha creato un domino di eventi negativi, e quindi mi sono adattata a rimanere.
Allora visto che sei venuta…perché sei partita nel 1991?
Nel 1991 avevo un po’ tutto quella che una ragazza di 24 anni può avere: un lavoro (insegnavo), molti soldi, il fidanzato…una strada segnata, relativamente contenta! Ho capito però che quella era una trappola per come sono fatta io, non era quello che volevo, anche se non sapevo cosa volessi in realtà. Avevo un’idea: sono nata scrittrice e morirò scrittrice nel profondo, volevo scrivere.
Da quando sono nata scrivo, avevo pubblicato già poesie prima di partire, mai come stakanovista alla Hemingway! La scrittura è sempre stata la mia forma di espressione: se dovevo dire una cosa ai miei genitori, anche se stavano dentro casa, io lasciavo i bigliettini!
Ho messo uno stop a tutto e sono andata a Dublino, con la scusa di andare a studiare inglese per due settimane e sono rimasta 14 anni!
Ti stava stretta anche Ostia, quando sei partita, o era solo la situazione in cui vivevi?
Sicuramente era la vita che stavo vivendo: la ripetitività nella quale mi trovavo non era il mio modo di vivere. Probabilmente lo avrei fatto ma non era quello che volevo! Quando stavo già a Dublino mi arrivò la telefonata del Provveditorato agli Studi che mi offriva un ruolo nella scuola italiana, ma rifiutai! Avevo vinto un concorso per insegnante elementare: avevo infatti preso il diploma di magistrale e poi 3 diplomi da privatista (come per esempio l’Istituto professionale per l’infanzia). Facevo 5 anni in uno: studiavo a casa e mi presentavo alla maturità dove grazie alla mia dialettica incantavo la commissione. L’esame del Concorso l’ho fatto 5 giorni dopo tornata dall’India: non avevo studiato nulla, ma sono riuscita a portare il discorso sul viaggio appena fatto, facendo un parallelo tra l’istruzione in Italia e la non istruzione in India.
La vita ad Ostia fino ai tuo 23 anni come è stata, se c’è stata o se era collegata più a Roma?
I miei amici mi chiamavano Cenerentola, perché dovevo tornare a casa presto e quindi non potevo andare a Roma e tornare tardi. Questo impedimento in effetti lo vivevo male tanto che se mi chiedi quale è il posto al quale sono più affezionata di Ostia, ti rispondo la Stazione Lido Centro. Mi ricordo il bigliettaio Sergio: esisteva un rapporto umano che ora non c’è più. Durante le sue vacanze girava il mondo e mi raccontava le sue storie. Una volta mi fece sedere in cabina, fu una rivelazione. Lui faceva infatti anche il macchinista: vedere questa strada che porta a Roma da davanti il treno era per me come se fosse la strada di Cappuccetto Rosso. Se io potessi comprare un appartamento a Ostia sceglierei quello sopra la stazione, quello che ha il balcone pieno di cactus!
Camminavo molto per Ostia, avevo quindi un rapporto peripatetico: non sono andata via perché non mi piaceva Ostia, questo problema è venuto dopo. L’Ostia degli anni 80 era un’Ostia vera: vedevo nella gente un amore verso la propria città! Anche nella stessa Nuova Ostia, dove neanche lo 05 si fermava, c’era una cura. Questo non lo vedo più! Il rapporto emotivo era inversamente proporzionale al quartiere: in quelli più poveri c’era una devozione maggiore. Conoscevo una signora che abitava in una baracca dell’Idroscalo e non sarebbe mai andata via da quel luogo.
Mi piaceva il fatto che Ostia era divisa in zone sociali: potevi avere l’amico che abitava a Piazza Gasparri, con i funghi per terra perché abitava a pianterreno, e quello che stava in centro nella bellissima palazzina! Potevi scegliere ogni giorno che esperienza sociale vivere…
Che ricordi hai di questa tua gioventù?
Il primo ricordo è quello dei Pazzarielli, che venivano a Carnevale! Erano delle specie di clown: uno stava davanti con una mazza in legno che batteva per terra dicendo “Sono arrivati i pazzariellli” e la gente buttava i soldi dai balconi: io da grande volevo fare il pazzariello!!
L’esperienza che invece ricordo con più affetto è stato il primo giorno di scuola delle elementari alla Garrone, perchè avevo fatto la primina dalle suore in Corso Regina Maria Pia. Era il giorno dei remigini, perché si iniziava scuola il giorno di San Remigio, il 1 ottobre. Ricordo che c’era una folla di gente, formata dai genitori e bambini, che aspettavano tutti fuori. Uscì la direttrice davanti all’androne e iniziò a chiamare alunno per alunno, classe per classe. Senza storie uno per uno entravano nella bocca enorme di questo gigante di cemento e pietra. Quando chiamarono il mio nome mi ricordo il bacio a mia mamma e l’entrata in questo nuovo mondo…è un’esperienza che rivivo tutte le volte che passo lì davanti. Mi colpisce ancora in maniera positiva, come se fosse stato un rito d’iniziazione.
Dimmi dei tuoi libri e del tuo scrivere?
Ho scritto un primo libro mastodontico e mi sono occupato di Visual Art, in quanto il mio compagno
dell'epoca (David Farrell) era fotografo. Abbiamo fatto mostre in tutta Europa, tra fotografia e scultura. Era una comunione tra noi due. Lui mi ha fotografato tutti i giorni per 15 anni e l’istallazione che producevamo ogni volta era come un figlio per noi.
Quando sono venuta qui in Italia ho scritto due libri: "Il passo lento dei randagi" (libro e recensione) e
"Hépou Moi" a 4 mani con Enrico Campofreda.
Il mio modo di scrivere è particolare: scrivo in testa per anni, camminando. Quando la storia è matura la metto su carta. In questo momento ho il libro completo e inizierò a scrivere a breve. Ci sto lavorando da più di tre anni. La storia ed i personaggi sono ambientati a Ostia. Ed ecco perché ti ho fatto quella domanda famosa: ho paura di illustrare Ostia in maniera troppo negativa, e ho bisogno del tuo aiuto per tentare di riamarla. Mi sono scontrata con la realtà di Ostia, ma in generale dell’Italia, al mio ritorno da Dublino. Quello che più mi ha colpito è che Ostia è rimasta ferma! Ma non il luogo, le persone. Come nelle fiabe, quando arriva la strega che ferma tutti con un incantesimo. Questo mi ha tanto innervosita, fino a quando ti ho incontrato, perché hai provato ad aprirmi gli occhi dicendomi che i cambiamenti ci sono, devi solo cercarli.
Mi indispettisce la popolazione, perché non vedo la devozione per il luogo: qui non ci manca nulla, ma non esiste una devozione emotiva che lo fa trattare come si deve! Quando andavo in giro per Belfast, in questa città martoriata dalla guerra, notavo quell’attaccamento che qui non esiste. La cattiveria nei confronti del paesaggio.
Abbiamo probabilmente bisogno di una guida, di un Virgilio, della figura di un maestro a partire dalla comunità scuola, famiglia, politica. In Irlanda ma anche in altri paesi d’Europa c’è una forte capacità di essere individui. Mancando una guida a tutti i livelli e mancando i paletti la popolazione va a rotoli.
L’intento della mia pagina è proprio creare questo senso di appartenenza
di cui tu parli, questo amor patrio che porta a sentirsi parte di un qualcosa.
Se tu non ami quello ti sta intorno, se non pensi di stare in una comunità in
cui il tuo ruolo diventa importante, mancherà l'essere cittadino
Siamo in una società che si perde e si sperde e quindi la vita quotidiana cade. Esiste un epidemia dell’apparenza personale, sulla quale bisogna concentrarsi. Ciò prende tanta energia, soldi e tempo. Poi non avanza il tempo per fare altre cose, che quindi diventano inutili, delegando gli altri a farle. Manca ormai la curiosità, che è quello che mi ha inflitto una piccola morte quando sono venuta dall’Irlanda…
Nonostante questo disagio, a parte il mare, c’è qualcosa che di Ostia apprezzi sempre di più o che ti mancherebbe?
Che mi mancherebbe ancora no…nonostante ciò non ho desiderio di ritornare in Irlanda, sicuramente non sono stanziale e quindi non mi piace rimanere sempre nello stesso posto. Mi piace avere più di un nido…
Spero, dovendo mettere il libro su carta e dovendo cercare dei dettagli, di
rifare amicizia con Ostia, passeggiando in alcuni luoghi! L’isolamento che ho
avuto in questi anni dipende solo da me, ho fatto come un paguro nella sua
conchiglia. Nonostante tutto in questi anni non ho fatto il vuoto intorno a me:
quando anni fa feci l’intervista per Canale 10 per l’uscita del mio libro, un giorno mi fermò un signore per strada. Mi disse: “Io mi devo scusare con lei, perché è tanto che la vedo la mattina presto in giro che cammina e ho sempre pensato che lei fosse una squinternata. Invece ieri ho visto la sua intervista: lei è una scrittrice!”
Mi rendo conto che comunque la gente mi nota, perché spesso vado in giro con Celestine sulla spalla. Quindi mi piacerebbe passare dal fatto che mi riconoscono al fatto che mi conoscono! Ovviamente dipende da me: userò il libro come ponte.
Anche frequentare i vecchi negozi di Ostia è per me fonte di riappacificazione: per me il più bello dal punto di vista umano è il ciclista di fronte al parco di
Via Pietro Rosa. Lì esiste ancora un mondo: se vai verso le 17 Mario e il figlio Romolo fanno il tè, e lo offrono a tutti. E’ una realtà immutata. Devo riuscire a farmi rendere affascinante anche i posti nuovi!
Il fatto di fare il bagno è stata la prima volta che mi sono reimmersa dentro Ostia: il desiderio di farci pace
ed amicizia, esiste! Io in Ostia vedo delle potenzialità, ma essendo ancora la figlia minorenne di Roma risente ancora degli sbagli della grande città!
Mi piacciono i ricordi: un profumo, un colore qualcosa che ti ricordi e che riesci a rivivere?
Il profumo è quello della pizza e mortadella che mangiavamo la mattina al mare quando eravamo bambini all’Urbinati. Fino ai 12 anni andavamo tutte le mattine
al mare alle 8 ma alle 10,30 andavamo via, quando arrivavano gli altri bambini
per poi tornare verso le 17 quando gli altri bambini andavano via.. la cosa che più mi stressa è ricordare che giocavamo con le piste delle biglie fatte dagli altri, è un ricordo tristissimo. Ma l’odore della pizza bianca comprata a via Desiderato Pietri, nell’alimentari che ancora c’è, e che mangiavamo sul bagnasciuga mentre si guardava il mare, mi piace.
C’è anche uno voce squillante tra i miei ricordi: quando passava d’estate quello che vendeva i cornetti, le corna di Alfredo. In quel periodo ad Ostia c’era tanto teatro involontario, quella che ora viene etichettata come pazzia.
Un altro luogo è il bar della pineta in via del Mediterraneo, che prima era di Gino. C’era un cavalletto per i bambini: ho ancora una foto su quel posto. Ancora adesso se ti siede lì per un paio d’ore, per osmosi ascolti storie, vivi Ostia…
Non sopporto invece quelle pietre lunari in Piazza Anco marzio, le metterei in alto come nei quadri di Magritte…
Un rifugio è sempre stata la Chiesa delle Pallottine, in piazza Tor San Michele, nonostante non sia credente. Non so spiegarmi il perché, ma quando sono lì dentro è come quando sto nel mare. La sera invece raduno i miei pochi pensieri in piazza Calipso, vicino alla fontana.
Intervista rilasciatami di persona il 22 febbraio 2015