Intervista a Mario Revisi
L'incontro con la vita che ci circonda, e che molto spesso sfugge per la fretta in cui tutti siamo travolti, è una delle cose che ci arricchisce come persone e che dona forza. Guardare gli occhi di Mario Revisi pieni di passione verso il proprio lavoro, che rappresenta la sua vita, suscita quell’emozione che solo
gente vera sa dare. Intervistarlo è stata una boccata d’ossigeno, ritornare a quei tempi in cui la perseveranza, la costanza, la dedizione erano principi imprescindibili.
Da quanto tempo fai il ciclista?
Lavoro nella mia bottega da 45 anni ma in realtà ci sono da quando ho 7/8 anni. Quando uscivo da scuola ho sempre aiutato papà e nonno: adesso ne ho 62, sono del 1953.
Perché nonno Mario decise di aprire la bottega?
Il suo primo lavoro fu il lattoniere nelle Ferrovie dello Stato: realizzava le casse rotonde dei treni a vapore, col martello, rivetti e bulloni. Nel periodo fascista venne cacciato per le sue idee opposte e non potendo più lavorare si mise ad inchiodare gli zoccoli dei cavalli. Poi fece il fabbro: aprì l’officina sotto ai portici della stazione, vicino al falegname Ceppodomo, sul lato sinistro dove ora c’è ora un autolavaggio. A quei tempi viveva in una villetta a tre piani dove ora ci sono i giardinetti della Stazione, vicino la statua di Paolo Orlando. Qui abitavano tre famiglie: la sua, quella di Mario, l’elettricista a Piazza della Stazione Vecchia e quella di Guaraldi il vetraio. Mi ricordo ancora quella casa: quando avevo 3 anni ero seduto sul pozzo al suo interno che serviva a tirar su l’acqua. Venni punto da una vespa. Mia nonna mi mise una forchetta per alleviare il dolore. Sarà stato il 1956 e la casa ancora esisteva.
Nel 1938 aprì il ciclista, proprio qui.
Che ricordi hai di lui?
Ho tantissimi ricordi di mio nonno e di mio papà Marcello. Nonno Mario è morto nel 1973, mentre papà nel 1994.
Mio nonno era un grande inventore, tirava fuori cose nuove dal nulla. Tutto era basato sul lavoro, se serviva qualcosa se la costruivano, se avevano delle idee le attuavano.
Negli anni '50 era stata aperta una scuola per andare in bicicletta perché tanta gente adulta ancora non ci sapeva andare. Mio nonno andava nel parco qui di fronte è insegnava loro. Si affittavano le biciclette e nonno oltre ai tandem si era inventato le triplette, forse vedendole da qualche parte. Costruiva i telai acquistando i tubi: li tagliava a misura e poi li saldava con le giunzioni. Per saldare avevamo una saldatrice autogena con una bombola di ossigeno messa qui dietro e un gazometro, che era una macchina per il gas. Veniva prodotto con il carburo di calcio, quella pietra che mischiata col l’acqua fa il gas acetilene. Si posizionava una zolletta di carburo nella bombola che produceva il gas a pressione e con il quale saldavamo. Ora non facciamo più saldature, perché ci vorrebbero cappe speciali per assorbire il fumo, ormai non si è più competitivi a farlo.
Si riutilizzavano anche i pezzi di ferro dei residuati bellici della guerra. Mio nonno andava a cercare gli aerei cascati sulle spiagge tra Torvajanica ed Ostia e si riciclava la materia prima, oltre che per le bici anche per le chiavi.
Questa vetrina l'ha costruita lui, col ferro a T e senza un colpo di saldatura, visto che è tutta bullonata.
Durante la guerra il negozio dovette chiudere?
Si perché la prima linea vicina al mare venne sfollata e chiusero per circa 9 mesi, dall’8 settembre del 1943 al giugno del 1944, lasciando tutto dentro. Papà e nonno passarono quei mesi nella campagna di Rieti, dove nonno era nato. Quando rientrarono c’erano gli alleati americani e si ricominciò a lavorare un po’ di più, perché loro usavano le bici. Mio papà si fece amici molti di loro e rimediava un po’ di zucchero, di formaggio, in quanto aggiustava loro un po’ tutto. Nel 1944 fece talmente incetta di quel formaggio giallo arancione dentro ai barattoli che quando ero piccolo, nel 1955, ancora ne avevamo la cantina piena. Io quando lo vedevo mi sentivo male, perchè aveva un saporaccio e mi costringevano a mangiarlo. Nella zona di Sisto invece c’erano gli Inglesi.
Quando invece c’erano i tedeschi?
Prima della partenza invece mio nonno mi raccontava che i tedeschi non lasciavano molto spazio, anche per mangiare. Mio padre, che faceva parte di una squadra ciclistica, andava in Sabina a rimediare dell’olio e della frutta per portarla qui. Una volta incontrarono un blocco tedesco che gli intimò l’alt e per la frenata mio papà cascò dalla bicicletta: la borraccia di alluminio con dentro l’olio ruzzolò ma per fortuna non se ne accorsero, altrimenti avrebbe passato guai.
Girando per la bottega impazzisco per ogni singola cosa, dagli attrezzi alle cassettiere. Mario mi illustra qualcuno di questi affascinanti oggetti.
All'interno di questa sagoma di sellino andava messo uno zoccolo di legno, sopra al quale si posizionava una pelle bagnata. Poi si batteva la sagoma e la si faceva scendere piano piano giornalmente. Alla fine il cuoio rimaneva modellato dallo zoccolo e quando si induriva veniva tolto. Si facevano i buchi sul cuoio ed il sellino era pronto.
In questo mobiletto invece ci avevamo costruito il forno: dentro c'erano delle resistenze elettriche e le pareti degli sportelli sono ancora rivestite di lamiera che coibentava. Dentro ci andavano i telai verniciati, cosicché veniva la verniciatura a forno. Questi sono i pezzi delle forcelle che dovevano essere saldati.
Questa cassettiera di ferro invece proviene da una stazione ferroviaria, e conteneva i fogli dei programmi dei passaggi dei treni.
Il figlio Romolo arriva con un vecchio campanello trasformato in spillone dove sono ancora impilati pezzi di carta con su scritti i debiti di qualche cliente, scritti a mano da nonno Mario.
Ci sono degli attrezzi che mi ricordano mio nonno, e che riutilizzo tutti i giorni. Questo per mettere i copertoni, questo per centrare le ruote, oppure tantissime chiavi strane inventate. Ogni giorno mi fa molto piacere riutilizzarli, perché penso che li ha fatti lui. Qui invece sto cambiando i raggi, mi piace montare i cerchi e lo faccio solo per qualche amico.
Non abbiamo mai pensato di rinnovare la bottega, perché il fascino del tempo si sente ancora.
Quali ricordi hai della bottega di quando eri piccolo?
Ho due ricordi ben impressi: il primo legato ad una bicicletta da 24 che mi avevano regalato papà e nonno a 10 anni. Io avevo iniziato ad andare in bici a tre anni, subito senza rotelle. Loro invece me la regalarono con le rotelle, per finta. Io ci rimasi così male che piansi tanto. Ovviamente me le tolsero subito, erano quelle di legno come andavano una volta.
Il secondo ricordo è quello di una macchinetta a pedali, ero più piccolo e mi ci divertivo qui intorno alla bottega, sul marciapiedi.
Nella bottega sono venuti tanti attori, da Enrico Montesano a Claudio Villa, a
Paolo Villaggio. Ostia in quel periodo era molto frequentata da VIP perché era stata eletta come luogo ideale di villeggiatura.
Pochi giorno fa è venuta prima ballerina del Teatro dell'Opera di Roma, Margherita Parrilla, che è nata qui dietro e si ricordava di mio padre.
Mario anche tu sei nato qui vero?
Sono nato nello scantinato di Piazza Cesario Console numero 10, grazie alla levatrice Lena, che abitava in via del Parco. Me la ricordo quando da vecchierella portava un cane che era più alto di lei.
A 5 anni ci siamo trasferiti a Viale Vasco de Gama: nello stesso appartamento abitavano due famiglie. Noi e la famiglia di mia zia. Da lì si andava in bici al lavoro, non avevamo ancora la macchina, presa intorno agli anni '60.
A quei tempi con questo lavoro ci vivevano tre famiglie: mio nonno e mia nonna, mio padre e mia mamma e appunto mia zia Rita, che era un tenore (ancora fa scuola di canto) sposata con un baritono. Adesso due famiglie non ci camperebbero: mio figlio ancora vive da me. Stiamo organizzando per fare spazio a lui.
Romolo interviene: “Il mio futuro sarà qui, ma per ora ancora non si riesce”
Che scuole hai fatto?
Ho frequentato l’elementare Garrone e la media Parini, mentre per le superiori ho frequentato un istituto professionale a Roma come aggiustatore meccanico, mestiere che ora non va più ma che a me è servito, anche se giocavo di anticipo perché conoscevo molte cose.
Come hai passato la tua infanzia?
A 10 anni quando non lavoravo riuscivo a fare anche il ragazzino: andavo in giro con i miei amici in fondo a via delle Baleniere dove c'è la pineta. Ci divertivamo con la mazza fionda, raccoglievamo le pigne. Andavo in bici ma non tutti l'avevano. La pineta di Castelfusano ce la siamo girata tutta.
Mi ricordo che in fondo a Corso Duca di Genova c’era tutta sabbia, con dune alte, in mezzo alle quali vedevamo atterrare gli aerei nell’aeroporto: sembravano vicinissimi, ma poi quando pensavamo di averli vicini…
In via dei Velieri ci riunivamo tutti a fare le capanne oppure giocavamo col carburo. Solo io potevo rimediarlo, perché lo compravo da Cinelli, il ferramenta vicino Sisto che era l’unico che lo aveva. Andavo sempre io a comprarlo per l’officina, ma alcune volte lo prendevo per noi quando rimediavamo qualche soldarello, senza dire nulla a papà.
Ci facevamo saltare i secchi ed i barattoli: costruivamo una buchetta con dentro il carburo, che veniva coperto con un secchio bucato e da lontano con una canna si faceva la miccia e col gas partiva.
Com’era Ostia a quei tempi?
Più pulita e più calma: c'erano tutti i vacanzieri che venivano per tre mesi estivi. Non mi ricordo tutte queste recinzioni, i prati erano comunque incolti però li usavamo per giocarci. Qui di fronte c’era più pineta ed era abbastanza folto.
Quali sono le botteghe che ti ricordi qui intorno?
Mi ricordo Vincenzo Marconi che faceva il lattaio a via Fabbri Navali e la signora che faceva la
"bombolaia". Su questa strada c’era un garage in cui c’era l’idraulico.
Col mare che rapporto hai?
Da piccolo ho avuto pochi rapporti perchè d’estate papà era qui con mamma, e quindi nessuno mi ci portava. Da adulto lo frequento a fine stagione oppure quando giocano i mondiali che non gira nessuno per strada. Ho imparato a nuotare buttandomi dentro.
Cosa significa lavorare qui per te?
A questo punto non lo so. Non so se è abitudine o gusto. Ormai ci sto e mi piace.
Mi hanno dato un premio di 50 anni di attività, con una targa come commerciante storico.
Questa tradizione di famiglia è naturale quindi che vada avanti?
È sempre stato tutto naturale. Non potrei più staccarmi da qui, vita e lavoro coincidono.
Romolo che già dall'età di 8 anni ormai lavora anche lui in bottega, mi dice “Ormai sento casa come lavoro e viceversa. Fino al 1975 si apriva anche la domenica per l'affitto ma per fortuna ora si chiude.”
Nel frattempo Romolo mi fa una sorpresa: mi giro e compare la bicicletta sidecar costruita dal nonno per la nonna.
Cos’è questa meraviglia Mario?
Mio nonno la fece perché mia nonna era molto grossa, non riusciva ad andare in bici e il sidecar la rendeva più stabile. Lei mi ci metteva dentro insieme alla spesa. Il sidecar è costruito con tutti pezzi di lamiera provenienti dalle scatole di pelati, si vedono ancora le rigature. Venivano raddrizzati e saldati insieme.
La V che vedi dietro va verniciata in arancio perché mio nonno l'aveva fatta così, ed ora l'abbiamo ristrutturata. Loro a quei tempi si erano trasferiti in via Ulderico Sacchetto e mia nonna ci andava per le strade di Ostia, che non avevano tutto questo traffico.
Cosa significa la bicicletta per te?
Uno spettacolo: la libertà, il divertimento, il lavoro ed il guadagno. Io vengo tutte le mattine in bici da casa, facendo più di 10 km e la sera non vedo l'ora di riprenderla. Papà mi diceva sempre: “Guai se ti compri una casa qui vicino, perché ti vengono a rompere le scatole anche quando dormi.”
Sono tre anni di seguito che vado in vacanza in bicicletta, in Sardegna. Prendo il traghetto da Civitavecchia e da solo giro l'isola.
Come è cambiato l’uso della bicicletta nel tempo?
Il numero di persone che la usano è suppergiù lo stesso, ma prima era una necessità perché era uno dei pochi mezzi di trasporto, mentre adesso ci si va per sport, per andare in spiaggia come passatempo.
Molti stranieri ci vengono in vacanza, come faccio io, passando da queste parti. Mi piace aiutarli a farli ripartire.
Cos’è la cosa che ti piace fare di più e quella di meno qui al lavoro?
Mi piace stare qui perchè stai al contatto col pubblico, parli con tanta gente e con parecchie persone ci fai anche amicizia. All’inizio avevo timore ma poi dopo mi è venuto naturale. Appena entra un cliente già capisci se è separato, da dove viene, cosa vuole.
Romolo ancora non è diventato così, è più solitario, anche se in inverno per scaldarsi fa sempre il tè e chi passa per di qui può approfittarne.
I lavori più belli sono quelli spariti, come verniciare le bici: vedevi crescere le tue creature. Per questo lo faccio ancora ma per le bici dei mie nonni. Ogni anno le ristrutturo in inverno quando c’è meno lavoro.
Il lavoro più brutto non c’è ma ci sono i clienti antipatici che cerchi di mandar giù. Io sono socievole e assorbo ogni cosa. Mio nonno era intrattabile invece: se c’era qualcuno che voleva comprare una bici e faceva storie sul colore lui lo cacciava via, dicendo “Mo’ pure il colore andiamo a cercà! Se ti va è questa se no esci!”
Vedo che è proprio una passione per te questo lavoro?
Ormai è diventata una passione per forza. Papà ci ha lavorato fino a 70 anni ed è quello che ha fatto più anni rispetto a nonno. Io sto già in pensione, ma rimarrò qui dentro fino a che potrò, come ha fatto papà che purtroppo è morto precocemente. Stava rinforzando questa finestra con delle barre di ferro e si è sentito male: dopo tre giorni è morto.
Non ce la faccio a staccarmi da qui. Dopo 15 giorni di ferie cominciò a fremere e non vedo l’ora di tornare. Qualche volta c’è qualche amico che mi rapisce per andare a prendere un cappuccino ma dopo 3 minuti fremo. Ormai è diventata una malattia: sto qui e sento la necessità di stare qui. Anche quando devo andare dal commercialista sto male: mi organizzo un paio di giorni prima e nel momento in cui non c’è lavoro parto, anche se ho mio figlio che mi sopperisce in tutto.
Solo la domenica non mi viene l’ansia, perché so che quel giorno siamo chiusi: sto tranquillo a casa con l’orto ed il giardino o vado in montagna.
Quali sapori ed odori di Ostia ricordi?
Quello delle salsicce che cucinavamo sul barbecue qui sul marciapiede, con gli amici in inverno. Oggi anno, finché papà era vivo, si faceva questa feste, a partire dagli anni ‘70 fino al ‘94.
Per gli odori me ne accorgo solo quando torno dalle vacanze. Risento l’odore delle gomme, delle biciclette e la sensazione è bellissima, senti che sei tornato a casa nella tua tana.
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Intervista rilasciatami di persona il 25 giugno 2015