Carlo Alberto Murredda
Tanta Ostia in questa intervista dai toni malinconici. Ho conosciuto Carlo sulla mia pagina Facebook: mi ha contattato proponendomi di intervistarlo per i suoi tanti ricordi di Ostia. E' un uomo alto e robusto, pieno di energia e amore verso il luogo in cui vive.
Piazza Tor San Michele
Ciao Carlo mi racconti qualcosa su di te e sulla tua famiglia?
Nasco a Ostia il 18 giugno 1938 nell'ospedale Sant'Agostino, una palazzina signorile donata alla popolazione di Ostia, con il numero 1001.
Una volta tutti quelli che nascevano nel circondario di Ostia venivano registrati nella delegazione di Ostia Antica. Quando questa fu spostata nel palazzo del Governatorato, tutti i nuovi nati a Ostia venivano registrati qui. Il numero 1 fu Giulio Savoretti, che ancora mi ricordo molto bene.
Il palazzo del Governatorato
Mia mamma era di Portogruaro, in Friuli, e venne qui a Ostia con la famiglia per la bonifica di Maccarese. Finita la guerra la sua famiglia tornò in Friuli quando il conte Marzotto diede loro la mezzadria; mia mamma rimase a Ostia perché aveva conosciuto mio padre, un sardo di Lotzorai, alto appena 1,61m ma molto bello. Era venuto a lavorare negli anni '30 al Plinius, grazie ad un parente compaesano: poiché era un immigrato, e l'immigrazione interna era vietata, lavorò per 7 anni di nascosto come operaio generico in inverno, e come bagnino d'estate, consegnando le chiavi delle cabine o pulendole. Il Plinius era gestito dalla Cooperativa Stabilimenti Balneari Plinius, del presidente Donzelli. Vennero poi altri sardi qui a Ostia, tanto che si formò il villaggio sardo a Nuova Ostia.
Mio padre poi fece tanti lavori, e non avendo la tessera del fascio era un "abusivo": lavorò presso la Breda nella Meccanica Romana, alla costruzione dello stabilimento Roma anche se per pochissimo tempo, il manovale nelle imprese Pedrini e Di Salvo.
Il comune poi, tramite il collocamento, gli diede la possibilità di andare a lavorare per 6 mesi nel cantiere scuola di Ostia Antica come operaio generico. Qui conobbe negli anni '60 una dottoressa in archeologia, che lo volle accanto a lei come operaio generico esterno nella ristrutturazione degli scavi, fino al 1972 quando morì per un tumore.
Mia mamma invece faceva la donna di servizio delle famiglie benestanti, facendo il bucato e i servizi. Lei è morta nel 1996 a 97 anni.
Quando si sposarono, andarono ad abitare in una camera in subaffitto a Corso Regina Maria Pia, a casa della famiglia dello "scopino" Montesi.
Nel maggio del 1942 nacque mia sorella e a settembre dello stesso anno, a causa della guerra, mio padre ci portò a Portogruaro dove lui doveva fare il militare. La strana coincidenza è che lo mandarono in cavalleria, forse perché pensavano che i sardi erano abituati a fare i pastori, ma lui era così basso in confronto ai cavalli!!!
Mio papà sparì per tutto il periodo della guerra, quasi 5 anni: fu partigiano nella zona friulana. Tornò nel 1947.
Per tutto questo tempo, noi figli non lo abbiamo mai visto: io e mia sorella siamo diventati adulti già a due-tre anni perché dovevamo scappare per i bombardamenti, dovevamo stare lontani dai fascisti e dai tedeschi, anche se la zona era abbastanza tranquilla. Non subivamo bombardamenti ma mitragliamenti. Ho visto gente in bicicletta saltare per aria: un giorno hanno mitragliato l'asilo che frequentavo, uccidendo davanti a me la suora che mi teneva sempre in braccio.
Finita la guerra cos'è accaduto?
Quando mio padre tornò, nel settembre 1947, da Portogruaro arrivammo a piedi sul Piave (circa 30 km) e sempre a piedi lo attraversammo: poiché non c'erano passaggi (esisteva solo un trave di ferro) mio padre ci prese sulle spalle a tutti e tre e uno alla volta ci portò dalla parte "buona" del fiume. Da lì ci abbiamo messo 5 giorni per arrivare a Roma, utilizzando vari carri merci e treni: quando ci si fermava si beveva l'acqua dal torrente, si rubava la frutta sugli alberi, si facevano i bisogni dove capitava. Durante il viaggio abbiamo conosciuto tante famiglie della Romagna, tra cui una che lavorava nella Cooperativa autotrasportatori e facchini di Ostia che si trovava in fondo a Corso Duca di Genova, dove c'è ora il bar Amigos. Loro prelevavano la sabbia dal Tevere per utilizzarla nell'edilizia.
Cosa è successo appena tornati ad Ostia nel 1947?
Appena arrivati ad Ostia mio padre occupò un appartamento di fronte alla posta centrale, in Piazza della Stazione, sopra un'osteria che poi diventò il gommista Policella e che ora è il negozio del pane Pans & Company, a fianco dell'elettrauto Causio. Mio padre ne diventò "padrone" perché era vuoto e chiuso, ma in realtà apparteneva ad Aldo Fabrizi ed Anna Magnani che lo avevano comprato in società per investimento. In quell'anno papà rilavorò al Plinius. Poichè i posti erano già "occupati", Donzelli lo mandò dall'impresa Vasotti che era proprietaria del Mare Chiaro, del Lido, della Bicocca e del Capanno. Lavorò quindi come bagnino al Lido. Nel frattempo l'amministratore dell'appartamento, dopo circa un anno, per mandarci via offrì alla mia famiglia il portierato della villa di una Contessa fuggita dall'Albania amica di Mussolini, in Piazza Tor San Michele.
E poi?
Nel 1951 grazie ai soldi guadagnati al Lido mio padre costruì la casa alla fine di Viale Vasco de Gama, in via delle Sirene, dove ancora oggi esistono due piccole casette con l'orto adiacente, della famiglia Garai e della famiglia Savelli (i fabbri del Principe Aldobrandini), che non accettarono le case comunali.
Via delle Sirene
Occupò il terreno dove adesso c'è Santa Monica, come se fosse suo e nel giro di due giorni costruì una casetta, con l'aiuto del "gruppo sardo" e del "gruppo dei baresi". I baresi erano tutti muratori, i sardi invece erano manovali e tra loro c'erano un feeling speciale.
I baresi erano venuti a Ostia per costruire la caserma IV Novembre. Si lavorava fino alle 4 del pomeriggio, poi si accendeva il fuoco e ci si ubriacava, dormendo poi nella sabbia. La mattina della domenica ci si svegliava cotti: ma la casa doveva essere coperta entro 48 ore, proprio di sabato e domenica perché i vigili non controllavano. Furono costruite tante casette, da Baleniere fino a Vasco di Gama ma poi piano piano, con la costruzione dei palazzi, sparirono. Anche la nostra fu demolita per lasciar spazio alla chiesa, e a mio padre gli assegnarono le case del comune a Nuova Ostia, dove morì.
La Chiesa di Santa Monica
Nel 1964 diedero anche a me una casa in quella zona, ma mia moglie preferì spostarsi dove viviamo ora, vicino alla Caserma delle Fiamme Gialle. Ci siamo trasferiti qui l'8 marzo del 1965; queste case erano dell'Empam. Mia moglie era incinta della prima figlia. Le prime estati affittavamo la casa in estate: gli inquilini te la sfasciavano ma poi "una stuccatina e via". Fino al 1969 abbiamo fatto così, poi con tre figli il trasloco estivo dai suoceri era sempre più complicato.
E tuo padre, raccontami ancora di lui?
Nel tempo papà riuscì a comprarsi un terreno per 15.000 lire, dove c'è ora l'Oviesse, a fianco di una palazzina sulla montagnola. Voleva farci l'orto, ma non fece in tempo perché lo vendette al suo compare di fede, Michele "il fabbro", che invece voleva costruirci sopra il proprio laboratorio, che aveva fino a quel momento dove sta ora il Bingo (e che prima ancora era la rimessa dei cavalli del principe Aldobrandini). Michele però morì presto e venne proposto alla famiglia di costruire i palazzi che vediamo ora, donando due appartamenti e un negozio alla moglie di Michele.
Dove le hai frequentato la scuola?
La prima e la seconda elementare le ho fatte nel Palazzo del Governatorato perché la Scuola Garrone era in ristrutturazione, mentre dalla terza alla quinta le ho frequentate alla Garrone con il maestro Buscaglione. Mi ricordo di lui perché aveva un problema: era grosso e alto e abitava nei palazzi dell'INCIS di fronte al lungomare. Per venire a scuola prendeva la bicicletta, ma aveva il terrore che gli rubassero i cappuccetti delle gomme; io ero il suo "uomo di fiducia", quello che andava a togliere i cappuccetti e che poi doveva rimetterli a fine lezione. Eravamo una classe terribile perché di mattina lavoravamo tutti al mercato e frequentavamo la scuola il pomeriggio dalle 14,30 alle 17.30. Si lavorava per aiutare la famiglia, anche perché non tutti i genitori prendevano uno stipendio.
La scuola Garrone
Mi descrivi il mercato di Ostia?
Il mercato si trovava in piazza Tor San Michele: di fronte a dove ora si trova la pescheria Faiola, all'angolo, c'era il banco di Teresa Chiaraluce, che mi ricordo perché gli rubavo sempre le fave. Poi c'era il banco del pesce della famiglia Balini: la signora tutte le mattine alle 5 precise ("potevi mettergli l'orologio") cominciava a strillare "zuppa di cozze...cozze fresche", perché a quei tempi le donne facevano la spesa presto: alle 8 dovevano mettere su il sugo con la carne che era dura come "una scarpa". Fino a mezzogiorno bolliva e si mangiava solo la sera, perché a pranzo ti dovevi arrangiare. La famiglia Smarchi avevano il banco di pizzicheria. Poi c'era la "Sorcia", una famiglia abruzzese (e tutti i parenti li chiamavano i "Sorci") che aveva un banco di frutteria che vendeva solo roba stagionale e Guglielmone che invece aveva un banco frutta di lusso.
Tutti i commercianti venivano col carretto (tranne il Guglielmone) e col cavallo dall'Isola Sacra, dove raccoglievano i prodotti. Noi ragazzini prendevamo i cavalli e i carretti e li portavano dove sta la scuola Garrone. Lì era tutto prato e i cavalli brucavano fino a quando li andavamo a riprendere verso 12,30. Nel frattempo in piazza tiravamo fuori la roba dai magazzini, che si trovavano negli scantinati del palazzo di fronte a Faiola, affittati appositamente ai fruttaroli. C'era Savoretti, pasticciere della casa reale di Vittorio Emanuele, che andò in pensione e si aprì una tabaccheria in Piazza Tor San Michele. C'erano Di Lecce "il carbonaro", Romeo il "cavallaro" che vendeva la carne di cavallo e c'era Faiola che aveva 5/6 barche con cui pescava seppie, telline e le vendeva sul proprio banco (che poi è diventato negozio). Sempre in piazza c'era il bar della Sora Elena detta la "Zinnona", che stava dove c'è adesso il bar Raffaele. Aveva un bar latteria al Testaccio e prese questo locale a Ostia durante la guerra facendolo lavorare l'estate. Infatti stava vicino allo stabilimento Urbinati, che era frequentatissimo dai gerarchi. Lei poggiava sul banco le sue "zinne" enormi e vendeva latte e servizi di caffetteria. Questo locale lo ha poi venduto al cameriere di classe dell'Urbinati, Ruggero Remondi, un romagnolo doc. Molti di questi camerieri hanno fatto fortuna comprandosi dei locali.
Sempre al mercato la gente comprava la biancheria dai Brusatelli o da Loconte che aveva il suo carretto: molti compravano con il libretto nero. A Ostia non giravano molti soldi contanti, ma questi libretti: ognuno di noi lo aveva, ma lo aveva anche il commerciante. Ci si scriveva sopra l'importo che dovevi e quando avevi qualche lira gliela portavi. Se gli dovevi 10 lire ne portavi due e siccome nessuno sapeva leggere e scrivere non si sapeva mai quello che dovevi dargli: c'è gente che deve ancora pagare (ride...).
Quando il mercato si spostò a Piazza Quarto dei Mille, mi ricordo di Papagni e di Di Filippo, proprietario del Tibidabo. Essi diventarono soci ed ebbero la concessione del Chinotto Neri ed in piazza avevano un magazzino di distribuzione.
Dopo le elementari cosa hai fatto?
Finita la 5 elementare ho proseguito per un anno e mezzo nella Scuola di Avviamento al Lavoro, sempre alla Garrone, poi ho conseguito il diploma nel 1961 durante i serali a Padova, quando ho fatto il militare. Diventai assistente edile: scelsi questa specializzazione perché noi a Ostia facevamo tutti due lavori. D'estate si lavorava al mare come bagnini o nei ristoranti come camerieri dove si guadagnava bene, ma dopo il 15 agosto tutto finiva. E cosa si faceva? Edilizia. Negli anni '60 infatti a Ostia si costruirono tanti palazzi.
Io ho lavorato fino agli anni '70 negli alberghi di tutto il mondo, e ho avuto almeno 50 "padroni". Quando poi mi sono sposato con una marchigiana che viveva qui a Ostia sono diventato stanziale. Ho lavorato anche all'Enalc Hotel dove il direttore Russo mi fece diventare l'istruttore dei nuovi ragazzi per la "mise en place" della tavola, e al Santa Barbara nel 1978 (ora "Alla Corte dei Borboni" in Piazza Anco Marzio) con la famiglia Sabatini.
Non ero un semplice "portatore d'acqua", ero un cameriere di classe, "spizzicavo" il francese e l'inglese e quindi una stagione si susseguiva all'altra. Ho imparato il mestiere facendo il porta caffè della Famiglia Remondi sempre da bambino in Piazza Tor San Michele, poi sono andato a lavorare alla Vecchia Pineta con la famiglia Muzzarelli come commis, prima quello che buttava l'immondizia e poi quello che metteva la tavola, in seguito aiutante cameriere, poi chef di partita e infine direttore di sala.
Si lavorava tantissimo, da un posto all'altro: nelle stagioni che vanno dal 1955 al 1957 feci Lido di Venezia, Saint Moritz, Sion e un bar in gestione a Roma, in piazza Santa Maria Liberatrice, sotto l'appartamento di Giuliano Gemma. Questo fu un periodo non molto positivo, perché il bar, preso in gestione con il mio amico barista di Iacozzilli, andava benissimo, ma scoprimmo che era pieno di "buffi". Ogni giorno veniva un ufficiale giudiziario e quindi lo lasciammo perdere. Giuliano Gemma ed i suoi amici frequentavano il bar perché il giovedì c'era Lascia o Raddoppia e noi facevano i tavoli. Pagando una consumazione di 300 lire si poteva vedere il programma in televisione, da un televisore con le valvole. Giuliano Gemma poi l'ho visto altre volte ad Ostia: veniva a trovare Nello Pazzafini, che era uno cascatore dei film mitologici e western dove Gemma lavorava. Al circolo delle Bocce della Pinetina c'era anche Sergio Mioni detto il Principe, unico cascatore che si è buttato da più di 20 metri e che ha lavorato per esempio nei Predatori dell'Arca Perduta con Harrison Ford.
Dal 1974 fino al 2003 poi ho lavorato nel campo dell'edilizia, in società con un mio amico pittore edile, aprendo un'impresa che prendeva molti appalti. Il nostro lavoro era come restauratori e rifinitori e fino al 2007 ho fatto da collaboratore diretto della famiglia Balini, rifinendo tutte le loro case a Ostia e non solo, compreso l'ufficio del porto di Ostia.
Quali sono i tuoi ricordi belli e brutti di Ostia?
I bei ricordi di Ostia sono quelli della gioventù: Ostia te lo permetteva. Ha il mare, la pineta, la popolazione non era monotona perché nel periodo estivo "scendevano a valle" persone di ogni tipo e di ogni età. Tutto era permesso, avevo il mondo in mano, avevo 20 anni. I ricordi brutti sono quelli legati alla responsabilità: ci si sposa, ci si assume dei doveri...
Il rispetto che ho per Ostia deriva dal fatto che ho avuto la fortuna di girare il mondo (Australia, Emirati Arabi), di servire a tavola tantissime persone famose (il re Costantino di Grecia, Gina Lollobrigida, Sophia Loren) e considero Ostia la località più bella del mondo, perché è salubre e più di quella gente che c'è ora non ci può stare, abbiamo l'ospedale, Roma vicina, le scuole...
Come è cambiata Ostia?
L'ho vista cambiare, allargarsi: oggi sono diventato uno sconosciuto qui in città.
Prima la guerra che si faceva tra i ragazzi era tra le tre fazioni di Ostia: Piazza Anco Marzio, dove c'erano i signorotti, Piazza Tor San Michele e le case popolari di Corso Duca di Genova. Logicamente con l'ampliarsi della città ti trovi isolato; su Internet ora trovo dei cognomi che non conosco. Frequento ancora vecchie famiglie di Ostia, come la famiglia Monesi che tu hai intervistato. Mia mamma era amica della mamma di Dina perché facevano entrambe le signore di servizio.
Intervista rilasciatami di persona il 11 gennaio 2014
di Aldo Marinelli del 04 ottobre 2016