Luigi Camilli e Adelina Di Nenno: 178 anni in due
Incontrare due persone anziane che vivono nel Borgo di Procoio ad Ostia Antica, legate ad un passato che è ancora vivo nelle loro menti e soprattutto nei loro occhi, che spesso diventano lucidi durante la nostra chiacchierata.
Tutta la zona intorno al cimitero di Ostia Antica, fino a viale dei Promontori a Ostia, viene chiamata Tenuta di Procoio-Pianabella di proprietà dei principi Aldobrandini.
Gli Aldobrandini hanno acquisito il diritto a queste terre grazie a Clemente VIII, papa della loro casata a fine del 1500. Il casato è attualmente rappresentato dal principe Camillo Aldobrandini.
Adelina Di Nenno è del 1921 ed ha 95 anni, Luigi Camilli è del 1932 ed ha 83 anni.
Luigi è nato a Roma, ma il papà lavorava nell’azienda Aldobrandini dal 1929. Lui ci ha lavorato dal 1948. Prima abitavano a via Capo Due Rami e nel 1934 si sono spostati tutti qui, nel borgo di Procoio.
Adelina invece arriva a Roma dall’Abruzzo nel 1955, da un paesino vicino a Lanciano. Inizialmente il marito ha lavorato in una tenuta sulla Braccianese appartenente ai preti ungheresi, poi presso i principi Boncompagni sulla via Tiberina ed infine qui dal 1963. Il marito aveva trovato lavoro come mungitore di mucche, quando nella tenuta esisteva una vaccheria.
Come ti ricordi questo posto?
Adelina: “Qui era senza tutti questi alberi, era più rozzo ma più naturale con almeno 130 vacche. Io facevo i servizi per le signore di Ostia. Mi ricordo che lavoravo anche presso un professore di musica, Carlo Ventura, in una casa che però lui non abitava”.
Luigi: “Le vacche le abbiamo dovute spostare nel settembre del 1943 portandole a piedi fino a Ponte Milvio, perché i tedeschi avevano un comando qui in un casale ed il principe preferì trasferirle. Quindi tornarono qui solo le donne ed i bambini e ci rimasero per qualche altro mese. Il principe ci aveva lasciato 7/8 vacche da latte e ci disse che se i tedeschi ci chiedevano qualcosa dovevamo dare loro tutto. Venivano con delle enormi brocche che riempivamo di latte. I tedeschi in realtà qui ci hanno protetto perché ci avevano preso a benvolere: quando partirono al fronte, i ragazzi giovani piangevano.
Nel 1944 fummo costretti a partire poi per Roma e quando tornammo nel 1945 non trovammo tutto come prima: un po’ era stato bombardato con i cannoni, qualcosa era stato saccheggiato”.
Come si vive qui nella Tenuta?
Adelina: “Io ci vivo bene, mi manca solo un po’ di compagnia, perché nonostante qui ci siano sempre persone che si fermano non mi bastano mai, più ne vedo meglio è. Alla sera molti rimangono un’oretta qui da me, soprattutto Luigi. Anche lui ha bisogno di compagnia anche se dice di no. Qui ci sono 13 famiglie e si mangia spesso tutti intorno ad un tavolo”.
Cosa si faceva qui?
Luigi: “Si lavorava tantissimo ma i proprietari ci hanno sempre trattato benissimo, ci hanno dato la casa.
Nel 1948 a 16 anni ho iniziato a custodire 30 vitelli da latte; poi quando mio fratello andò a fare il militare iniziai a mungere. Dopo che feci il militare a Codroipo, nel distaccamento di Casazza della Delizia, mi accorsi che questo lavoro era un sacrificio. Per esempio quando si andava al cinema Superga partendo a piedi da qui, si andava all’ultimo spettacolo delle 22. Ogni volta era una festa ma si tornava verso l’una e poi la mattina la sveglia era alle 4 per mungere. Avendo fatto il carrista presso il comando in Friuli Venezia Giulia non volevo più stare nella vaccheria e quindi cominciai a lavorare con i trattori, i mezzi agricoli, l’officina. Riparavo le macchine come la trebbiatrice.
Qui si faceva la caccia alla volpe, tutti vestiti come una volta e con tantissimi cavalli, coi i segugi e la trombetta. Io prima andavo anche a caccia, soprattutto di tordi. La sera dovevi dormire nel capanno, altrimenti la mattina non trovavi posto. Un giorno cascò il fucile e da quel giorno lo attaccai al chiodo. Poi da quando è diventata Riserva non si caccia più.
Adelina: ”Mi ricordo che non riuscivo a passare per andare al lavoro per quanti cavalli c’erano. Dovevo andare al lavoro a piedi. Solo a 50 anni ho imparato ad andare in bicicletta da sola. Mi mettevo vicino alla mangiatoia delle mucche per non cadere e non farmi vedere dagli altri che mi prendevano per matta.
Con la bicicletta facevo anche i trasporti: una volta, negli anni ’70, ho portato una rete del letto da Ostia a qui. Me l’aveva regalato il professore perché ci aveva dormito il giudice di Palermo, che rimaneva a casa sua un mese. Mi misi la “sparella” (un canovaccio intorcinato) in testa e ci poggiai sopra la rete. Dovevo passare per forza tra la caserma della Polizia e quella dei Carabinieri, dove c’era un campetto sportivo in cui giocavano gli operai nella loro pausa. Mi gridarono ad alta voce e mi misi paura, ma in realtà volevano fare solo una fotografia di me con quel carico sulla bicicletta.
Sulla testa ho sempre portato le bottiglie, ma da quando sono cascata la testa ha qualche bozzo in più.
Luigi: “La mia prima bicicletta me l’hanno regalata i tedeschi. Vennero qui con un camion, si fermarono davanti casa e chiamarono tutti i bambini del borgo. Tirarono giù una bici piccola da uomo e chiamarono proprio me, ma in tedesco. Presi anche paura perché non sapevo cosa volessero. Mi fecero salire e mi reggevano la bici pensando che non ci sapessi andare, ma in realtà avevo imparato con quella da donna più grande di mamma. Quando mi lasciò andare corsi così veloce che mi applaudirono tutti.
Dei tedeschi ho un buon ricordo, cosa invece di cui non ho con un ragazzo di qui che si comportò da spia. A quei tempi si viveva con i maiali: ogni famiglia ne aveva almeno uno o due e con quello si mangiava tutti. Per non farseli rubare li avevamo nascosti in un canneto qui vicino. Purtroppo quel ragazzo che abitava qui sapeva dove erano nascosti, compresi quelli del padre. Spiegò ai tedeschi dove si trovavano, ma loro non li trovarono subito, perché girarono intorno facendo finta di grugnire ma gli animali non rispondevano. Allora ci tornarono con lui e li trovarono, caricandoli sul camion. Le donne cominciarono a piangere, compresa la madre. Arrivò proprio in quel momento il principe Clemente, padre di Camillo, che vide tutti piangere e domandò cosa fosse successo. Aveva con se il fattore che traduceva il tedesco e quindi corse con la sua giardinetta di legno verso il camion che nel frattempo aveva preso l’Ostiense. Li fermò e non so cosa gli disse, fatto sta che i maiali tornarono qui da noi.
Ho un buon rapporto di amicizia col principe Camillo Aldobrandini: è nato nel 1945 e quindi siamo cresciuti insieme. Di tanto in tanto lo accompagno anche all’aeroporto.
Tanti i ricordi di guerra vedo?
Luigi: “Quel giorno che sfollammo era sera. Dalla Pineta di Castelfusano arrivò una marea di soldati tedeschi, erano tantissimi. Si piazzarono con le mitraglie dappertutto, fu incredibile.
Da quando siamo tornati ho trovato qualche granata mentre aravo: chiamavamo i Carabinieri che venivano con gli artificieri. Qui ci sono ancora due bunker: uno su via di Pianabella ed uno qui intorno al Borgo.
L'esterno del bunker
L'interno del bunker
Li hanno costruiti i tedeschi insieme a delle piazzole vicino alla ferrovia, dove ci mettevano le mitragliatrici perché si aspettavano lo sbarco ad Ostia.
Cadde anche un aereo tedesco proprio qui. Ci fu una grande battaglia tra aerei americani e tedeschi nel cielo sopra di noi. Ne colpirono uno tedesco che cominciò a perdere quota e distrusse il comignolo dell’altro casale, riprese poi la quota e cadde nella pineta qui di fronte. Noi eravamo tutti dentro dove ora c’è l’asilo e guardavano quegli schizzi di proiettili dappertutto.
Ci fu poi un’altra sera d’inverno in cui si sentiva il rumore degli spari. Erano almeno 4 i tedeschi e si buttarono col paracadute. Uno purtroppo rimase impigliato tra i fili della corrente sulla strada di Pianabella e morì fulminato. Il ragazzo che fece la spia dei maiali andò subito a togliere l’orologio e altri beni. Un altro tedesco invece rimase incastrato tra i fili del treno e cominciò a lanciare dei razzi. In quel momento gli altri tedeschi che si erano salvati ci avevano preso la vacca più grossa per festeggiare e videro quei lampi provenire da una posizione più elevata vicino alla stazione ed andarono a salvarlo”.
Che ricordi hai di Ostia?
Adelina: “Per me Ostia ha rappresentato sempre il lavoro, e con i soldi che guadagnavo ho comprato il frigo, la televisione, i regali per i figli. Una volta mi hanno rubato la bicicletta con la spesa di un mese di carne. Che brutti ricordi.
Ostia però mi è sempre piaciuta tanto perché avendo sempre vissuto in campagna non era bello come era qui. Non era il mare che mi piaceva, anche perché in Abruzzo ci andavamo a piedi (12 km fino a San Vito), ma mi colpì tutto il resto. Per me era il paradiso, c’erano negozi, anche se guardavo solo perché non avevamo i soldi, tanta gente.
Mi piace tanto e non andrò mai via da qui, solo la morte mi porterà via. Ogni tanto ci torno e mi piacciono sempre i supermercati. Mi piaceva tanto via Diego Simonetti, volevo comprarci casa, ma mi mancavano i soldi, costava 7 milioni. Facevo la spesa all’alimentari Nociforo”.
Luigi: ”Ostia non era così grande come ora. Da Via delle Baleniere fino a Tor San Michele era tutta sabbia. Qui ci piantavamo le carote e lavoravo lì col trattore, era tutto degli Aldobrandini.
Mi ricordo anche del Cucciolo e delle due arene all’aperto, quella del Lido e quella della Piazza della Stazione Vecchia.
Vicino alle ultime case che vedo da qui era tutta palude: spianarono tutto a mano, con i carrelli sui binari. Le parti più alte della duna servivano a coprire le zone con l’acqua. Qui in estate c’era un concerto di rane.
Subito poi ci piantarono i cocomeri: quanti ne mangiai. C’era uno zio che faceva da guardiano ai campi gestiti dai Fenati, che avevano il ristorante “Il Monumento” ad Ostia Antica. Un giorno mi disse ridendo: Luigi vuoi un cocomero? Me lo mise sulle spalle, ma ero troppo piccolino per reggerlo. Crollai dopo solo 10 metri ed il cocomero si spaccò in mille pezzi.
La pineta di Procoio fu invece piantata nel 1935 proprio a partire da pinoli, mentre quella più vicina al Canale dei Pescatori già esisteva”.
Ed i rapporti con Ostia Antica?
Adelina: “Lì c’era il dottore, il mulino, il mercato. Si arrivava a piedi in un attimo e compravamo la carne rossa o i vestiti. Mi è sempre piaciuta perché c’era tanta gente casareccia, un po’ come era nei paesi abruzzesi. C’è il borgo, dove mio marito andava alla cantina”.
Luigi: “Gli Aldobrandini hanno fondato le scuole ad Ostia Antica, dove ho frequentato i primi due anni e mezzo alla comunale. Poi a causa dello sfollamento ho perso due anni e quando rientrammo il principe ci pagò la retta alla scuola delle suore. Qui ho fatto fino alla 5 elementare”.
Adelina: “Ho fatto solo la prima e le seconda elementare. Mi mancavano sempre le scarpe per andare”.
Interviene Luciano, figlio di Adelina: “Io arrivai qui ad 11 anni e ricordo che a scuola mi prendevano in giro perché venivo dalla campagna.”
Luigi: “Per un certo periodo ho anche organizzato la processione di Sant’Aurea, andavo da Capo Due Rami col trattore nel centro con sopra la Madonna”.
Avete mai sofferto la fame durante la guerra?
Adelina: “In Abruzzo si, non me lo ricordare. A 17 anni andai a lavorare in un’azienda di tabacco. Eravamo 4000 donne: si faceva la raccolta e l’essicazione. Ero molto moderna, fui la prima donna della famiglia che andò a lavorare”.
Luigi: “Prima non si aveva tutta la scelta di ora: mi ricordo la polenta, la pasta e fagioli. Avevamo i conigli, le galline, le uova, la verdura che piantavamo e la frutta dei nostri alberi. Il principe poi ci passava il grano, la legna, il latte. Non abbiamo mai sofferto la fame. Il principe ci ha sempre rispettato.
Il nonno di Don Camillo, Giuseppe, morto nel 1937, veniva tutti i giorni qui o nel centro anziani che manteneva al Sant’Agostino. Portava il latte in tutti gli asili di Ostia.
Un giorno ricordo che rivolgendosi al massaro Aronne disse: “Uccidi quel vitello e dai un pezzo per uno a tutte le famiglie”.
La frutta e la verdura che il principe raccoglieva andava ai Mercati Generali: noi caricavamo due carretti e la notte alle tre partivano verso l’Ostiense”.
Luigi, dove hai conosciuto tua moglie?
L’ho conosciuta a Nettuno, dove avevo i parenti. Vivevamo qui ed avevo un terreno a vigna a Nettuno, dove spesso andavo. Abbiamo avuto due figli, Alessandro e Cristina. Purtroppo a 48 anni è morta.
Dopo circa tre anni ho conosciuto una signora vedova, il cui marito faceva il custode alla Scuola Labriola. Siamo stati 22 anni insieme qui a Procoio, ma anche lei è morta, nel marzo 2013.
Invece Adelina tu dove hai conosciuto tuo marito?
Ad una festa da ballo di paese. Io però non volevo un marito perché ho il ricordo di mamma sempre in cinta. Ha avuto 24 gravidanze e 13 figli.
Come passate il vostro tempo adesso?
Luigi: “La mattina sto un paio di ore all’orto, curo le mie piante e poi mi metto all’ombra. Il pomeriggio riposo, poi mi occupo dei conigli e delle galline. La sera ci incontriamo qui”.
Adelina: “Faccio quello che posso dentro casa, cucino per me quando voglio. Quando vengono i figli cucino per loro. Faccio ancora delle passeggiate qui intorno, anche se non dovrei allontanarmi troppo. Ho fatto tante operazioni al cuore. Sono già caduta un paio di volte, e cammino col bastone”.
Che facevi d’estate da piccolo?
Luigi: “Al mare non ci andavo praticamente mai. Per circa tre anni durante le elementari ho lavorato da Mario Revisi in Viale della Pineta come aggiustatore di bucature. Mi ricordo che Mario un giorno mi disse: tu non hai il coraggio di toccare una ragazza! Allora venivano ad affittare le biciclette in costume e per dimostrare che ero capace lasciai la mano sul sellino proprio prima che la signorina si sedesse.
Marcello mi aveva dato una bicicletta e tornavo a casa attraversando la ferrovia”.
Cosa ti trasmette questo posto?
Adelina: “Ormai qui è casa mia, non mi sento più abruzzese. Anche se ho qualche ricordo bello della mia città natale, soprattutto dei miei genitori. Ricordo che ho conosciuto Benito Mussolini quando venne nel mio paese, perché li avvenivano le trebbiature. Si sedette sulla macchina facendo finta di trebbiare, come propaganda politica”.
Luigi: “Allora non c’erano le mietitrebbia come oggi, la macchina faceva le gregne, cioè dei fasci di grano che poi si caricavano dove c’era la trebbia che estraeva i chicchi che venivano messi in sacchi da un quintale. Questi poi dovevamo caricarli sul camion: avevo 25 anni e ci aiutavamo con le palanche”.
Luciano: “Mio padre è stato operato alla schiena proprio per questo motivo: a forza di caricare sacchi si era formata una grossa cisti. Questo era un lavoro secondario, dopo quelle delle vacche e serviva per arrotondare un po”’.
Quale rumore ti porta subito al passato?
Luigi: “Sicuramente quello della sirena dell’allarme bombe che suonava ad Ostia e che ci faceva correre subito alla grotta qui a fianco.
La grotta usata come rifugio durante la guerra
Passavano le squadriglie di aerei bombardieri con quel rumore sordo: andavano verso Roma dove lanciavano le bombe. Si sentivano benissimo, tutti i giorni. Fecero saltare il ponte della Scafa, che non era come adesso, ma era di ferro con delle bellissime arcate. Poi ne hanno fatto uno temporaneo di legno.
Sia papà che mio nonno materno, che era una guardia giurata a cavallo, mi dicevano che in quella grotta ci facevano le mozzarelle e i formaggi di bufale, che vivevano nelle zone paludose qui intorno.
Vedi poi quei silos laggiù?
Sono degli anni ’50 e dentro ci si metteva il foraggio, alternato ad uno strato di sale, fino a riempirlo tutto. Sopra poi c’era una piattaforma di cemento che veniva calata per pressare tutto il foraggio. Poi si saliva sulle scalette e col forcone si tirava giù il foraggio”. Facciamo poi una passeggiata insieme a vedere i conigli, le galline, l’interno delle case di entrambi.
Luigi mi regala un pomodoro del suo orto da 800g ed una bottiglia di vino degli Aldobrandini.
Adelina mi abbraccia e mi bacia dicendomi di essere stata felice del nostro incontro ringraziandomi tantissimo.
Sono io che devo ringraziare loro, fonte di ricordi e di insegnamento per tutte le generazioni future. Umiltà, dedizione, lavoro: principi sani che formano l’uomo saggio che vede lontano.
Intervista rilasciatami di persona il 19 luglio 2015
di Aldo Marinelli del 26 ottobre 2016