Obiettivo Ostia: il territorio visto con altri Occhi, Rebecca Rubeis
Adesso tutto ciò che portavo dentro senza consapevolezza assume un’inquadratura definita e la luce lo rischiara come conviene.
Il potere che l’ambiente circostante esercita sull’individuo è testimoniato da ogni branca della scienza; la geologia ad esempio osserva nel cristallo la sintesi di una composizione chimica predefinita e le azioni che successivamente il luogo in cui il cristallo si è formato ha esercitato su di esso. È l’ambiente circostante a stabilire se da atomi di carbonio risulterà un diamante o la mina della matita con cui, noi studenti dell’Anco Marzio, trascriviamo, insicuri, gli appunti di chimica.
Ripropongo questa metafora, che da sempre mi affascina, in chiusura di un progetto che la conferma: un corso di fotografia che ha testimoniato come ogni individuo sia reso unico e inconfondibile non solo dalle peculiarità ad esso intrinseche ma anche dall'inevitabile contatto con la realtà che lo circonda.
All’interno di un contesto paesaggistico che vede il verde di Castel Fusano abbracciarsi al blu del Tirreno, abbiamo conosciuto persone profondamente diverse per attitudini personali ma accomunate dal dialogo costante con il nostro quartiere romano, Ostia.
La loro posizione di centralità all’interno del nostro progetto è dovuta al fatto che il legame con Ostia è stato, per queste persone, la premessa o la conseguenza di una professione: ciò li ha resi degni della nostra massima attenzione.
Michele Migliore, affabile esponente del Borghetto dei Pescatori, da Minturno si sposta, per esigenze di tipo economico, ad Ostia, instaurando con essa un rapporto che, pur ponendosi a posteriori del mestiere ereditato, non manca di intensità. Con gaudenti occhi blu, come colmi delle tinte marine tanto scrutate, ed un sorriso serafico, Michele ci testimonia la stretta dipendenza dalle acque che ogni giorno solca. Atarassico e canuto al pari di un filosofo, come fossimo per qualche momenti suoi discepoli, ci coinvolge con i suoi racconti: le ore notturne sotto coperta davanti ad un libro, la tenera atmosfera percepibile all’alba sul piccolo peschereccio, mari burrascosi e difficoltà della navigazione. In lui traspare l’invidiabile serenità di chi riesce a far di necessità, virtù.
Al professor Giorgio Rascelli, va invece il merito di aver saputo rendere pubblicamente fruibile il proprio personalissimo rapporto con il luogo natio, nel contenuto di un libro. “Le Acque Rosse” si compone simultaneamente delle vicende autobiografiche dell’autore e di una cronologia delle trasformazioni del quartiere a livello urbano e sociale. Il legame viscerale con i luoghi dell’infanzia lo rendono oggi uno scrittore noto e apprezzato perché autenticamente commosso nel suo resoconto dei fatti.
In Luigi Cassetti e Alessandro Paglia ho invece riconosciuto entrambe le tendenze: il primo, amando e interpretando le potenzialità del lido ostiense diventa Presidente della Lega Navale, mestiere che, a sua volta, accresce l’empatia nei confronti della realtà quotidianamente vissuta;
il secondo, avendo saputo coniugare l’arte pasticcera di tradizione familiare al sincero affetto per la sua città, fornisce di due ingredienti indispensabili il gusto inconfondibile dei suoi iconici krapfen. Due uomini molto differenti ma entrambi consapevoli di quanto un sano rapporto con il luogo in cui si lavora e una cura particolare dei rapporti interumani, siano necessari per la gestione di qualsiasi attività. Due uomini che sono stati per noi vessilli di due macroaree ostiensi, quella pedonale e quella balneare, centri nevralgici di tutti gli scambi sociali tra cittadini.
Ognuno dei personaggi incontrati ha dato una voce alla sezione di Ostia esaminata.
In ogni incontro, insieme con l’obiettivo della reflex, anche i miei occhi hanno colto nuovi dettagli all’interno di un contesto che vivo quotidianamente e che mi sembrava, più di qualsiasi altro, prevedibile in ogni sua accezione.
Spesso la frenesia della vita impedisce la riflessione, impedisce di fermare il tempo per un istante.
Se la fotografia mi ha insegnato questo, bloccare il tempo per un attimo, per dare spazio a tutti i minuscoli misteri che non vengono colti da un occhio ingenuamente disattento, il progetto in sé mi ha insegnato ad ascoltare… i suoni della natura, come la voce delle persone. Il suono e la luce donano magia alla vita. La voce e l’immagine concedono il miracolo della comunicazione, sono i pilastri della vita organizzata, della civiltà.
Tra le rovine storiche della Villa di Plinio, abbiamo infine conosciuto un ragazzo precocemente affermato, Giacomo Buffoni, la persona, tra quelle che ci hanno riferito la propria esperienza, che abbiamo sentito forse più vicina. Ballerino professionista, ha avuto la capacità di lasciarsi un’altra opportunità aperta; avendo conseguito la patente per pilotare droni, si fa strada in questo campo con riprese del suo territorio. Lo abbiamo ammirato in quanto ligio e al contempo poliedrico, ma soprattutto perché, praticamente nostro coetaneo, ha fatto di un obiettivo, seppur molto più raffinato dei nostri, un secondo mezzo di sostentamento.
Concludiamo il nostro progetto con uno sguardo molto più ampio, come quello del drone che si alza nel cielo e abbraccia ogni cosa dall’alto.
Impressionante come un corso di fotografia possa letteralmente “mettere a fuoco” elementi puramente emotivi, quiescenti e non, e concretizzarli in immagini.
Adesso tutto ciò che portavo dentro senza consapevolezza assume un’inquadratura definita e la luce lo rischiara come conviene.
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di Aldo Marinelli del 04 settembre 2018